Le dipendenze da sostanze (alcol, tabacco, stupefacenti) ma anche le dipendenze comportamentali (gioco d’azzardo, cibo, internet e nuove tecnologie) sono un fenomeno in continua crescita, in misura maggiore durante una situazione particolare come quella correlata alla pandemia da COVID-19, che prevede un periodo di lunghe chiusure e di forzata permanenza a casa.
Con il termine Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione (DNA) parliamo in particolare di Anoressia, Bulimia e Binge Eating Disorder, patologie complesse, multifattoriali che, se non intercettate correttamente e tempestivamente, hanno un impatto importante sugli organi e apparati del corpo umano, potendo causare, in un numero minore di casi, la morte della persona. I dati ufficiali ci dicono che, nel periodo pandemico che stiamo vivendo, l’isolamento sociale, l’inevitabile e prolungata convivenza con i familiari, la sensazione di mancato controllo sulla propria salute e sulle personali scelte di vita stanno favorendo l’aumento dei disturbi alimentari, sia come nuovi esordi, sia come ricadute da una pregressa malattia. Ma in che modo il cibo si trasforma da semplice alimento in una sostanza da cui si dipende e con cui, in un modo o in un altro, ci si inizia a fare del male?
Fin dall’inizio della nostra esistenza alimentarsi non ha significato soltanto soddisfare il bisogno della fame: mentre veniamo nutriti entriamo in una relazione con l’altro, portiamo dentro di noi qualcosa dell’altro e della vita stessa, prima ancora di saperlo coscientemente. Crescendo il cibo potrà diventare il mezzo attraverso il quale verremo consolati, puniti, tenuti distanti o vicini. E potrà accadere che noi stessi inizieremo a viverlo attraverso questi significati, di nuovo senza saperlo coscientemente. Tutto questo potrebbe già essere abbastanza… invece no! Il ruolo del cibo non finisce qui. Esso è anche uno dei mezzi primari per raggiungere una forma del corpo più o meno desiderabile: attraverso il cibo possiamo essere più o meno belli, ammirati, potenti, forti, fragili, invisibili, perfino disgustosi. Pertanto, quale mezzo più semplice, immediato, primordiale per esprimere un modo di sentirsi o un bisogno nascosto, se non questo? Nel disturbo alimentare il rapporto con il cibo si fa messaggero di una verità profonda: può esprimere una rabbia recondita, una paura non comunicabile, un tentativo mal riuscito di prendersi cura di parti di sé profondamente sole e disilluse. Non stupisce quindi che, di fronte all’incertezza di questo periodo storico, il tentativo di curare le necessità più profonde di anima e corpo si faccia impellente e che il cibo diventi, a differenza di altre sostanze, il rimedio più familiare, economico e disponibile, portando conseguentemente i Disturbi dell’Alimentazione e della Nutrizione ad un’impennata preoccupante
La Mindfulness, o attenzione consapevole, può rivelarsi uno strumento davvero efficace per chi soffre di un disturbo alimentare. Rivelandosi in primis fondamentale per iniziare a riconoscere i veri bisogni nascosti dietro ad un’abbuffata o ad una restrizione, diviene poi utilissima nell’imparare a regolare gli stati affettivi che nella mente e nel corpo affliggono chi cerca nella relazione con il cibo un sostegno per camminare nel proprio percorso di vita. Il lavoro sul corpo, attraverso il bodyscan, permette alla persona di riappropriarsi delle proprie sensazioni fisiche e di iniziare a distinguere la vera fame e la sazietà da bisogni emotivi diversi, che vengono appagati attraverso la relazione con il cibo. Le meditazioni su respiro, pensieri ed emozioni, permettono alla mente di raggiungere un grado di calma concentrata dal quale osservare e comprendere meglio la natura dei propri sentimenti e delle proprie credenze, permettendo una rielaborazione guidata più funzionale di quelle funzioni maggiormente disregolate. Le meditazioni sulle qualità della pazienza, dell’accettazione e della gentilezza guidano il paziente in uno spazio di maggiore flessibilità e comprensione della natura del suo disturbo, favorendo equanimità e forza.
La Mindfulness, nell’ambito dei Disturbi Alimentari, attraverso le sue numerose e diversificate tecniche, può essere utilizzata con comprovata efficacia sia come uno strumento di potenziamento delle sedute di psicoterapia individuale sia in specifici protocolli di gruppo, quest’ultimi particolarmente efficaci per il Binge Eating Disorder.
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